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La cirrosi epatica
Corso FAD ECM per podologi
Descrizione
Perché seguire questo corso FAD ECM sulla cirrosi epatica
La cirrosi epatica ha un notevole peso sul sistema sanitario e sul singolo che ne è affetto, fino alla morte, tanto che in Italia è tra le prime 10 cause di morte. Questo corso fornisce le informazioni evidence based per gestire nella pratica quotidiana il paziente con cirrosi e per prevenire l'insorgenza della malattia nelle persone a rischio.
Che cosa imparerai seguendo questo corso
Al termine del corso si saranno acquisite le conoscenze per riconoscere, diagnosticare e seguire nel tempo il paziente con cirrosi, con particolare riguardo alle principali complicanze come l'ipertensione portale, l'encefalopatia epatica, la cardiomiopatia cirrotica, la sindrome epato-polmonare, l'ipertensione porto-polmonare, l'epatocarcinoma.
A chi è dedicato questo corso ECM
Questo corso si rivolge a tutti gli operatori sanitari vista la trasversalità della condizione e i consigli che devono essere dati.
Che cosa comprende il corso
Il corso FAD ECM comprende un dossier ricco di riferimenti bibliografici per chi volesse approfondire l'argomento, due casi di pratica clinica con cui cimentarsi e un questionario ECM randomizzato con soglia di superamento al 75% delle risposte corrette, oltre al questionario di gradimento con possibilità di lasciare commenti in aperto sul corso svolto.
Aperto a
medici chirurghi, infermieri, ostetriche/i, farmacisti, assistenti sanitari, biologi, chimici, dietisti, educatori professionali, fisici, fisioterapisti, igienisti dentali, infermieri pediatrici, logopedisti, massofisioterapisti, odontoiatri, ortottisti/assistenti di oftalmologia, podologi, psicologi, tecnici audiometristi, tecnici audioprotesisti, tecnici della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro, tecnici della riabilitazione psichiatrica, tecnici di fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare, tecnici di neurofisiopatologia, tecnici ortopedici, tecnici sanitari di radiologia medica, tecnici sanitari laboratorio biomedico, terapisti della neuro e psicomotricità dell'età evolutiva, terapisti occupazionali, veterinari
Crediti ECM
5.00
Scadenza
11-04-2025
Prezzo
30.01 €
Obiettivo nazionale
Area obiettivi: Area degli obiettivi formativi di sistema
Obiettivo formativo: Applicazione nella pratica quotidiana dei principi e delle procedure dell'evidence based practice (EBM - EBN - EBP)
Responsabile scientifico
Vittorio Baldini
programma
La cirrosi epatica
Cimentati con un caso del corso
Alfonso ha 75 anni, ma proprio non li dimostra. Gli hanno appena rinnovato la patente e nella fotografia non porta occhiali perché non ne ha bisogno; fa molti chilometri in bicicletta, anche 40 tutti in una volta; il “factotum” di casa è lui, e anche di quelle dei vicini che ne apprezzano oltremodo la generosità e la competenza in tanti lavoretti: ha una bella famiglia, una moglie ancora in gamba, della sua stessa età, una figlia, due nipoti e un gran bel pastore tedesco che è la sua guardia del corpo.
Da quando è in pensione (gli sembra un secolo fa), inganna il tempo leggendo un po’ di tutto (dopo la cataratta, quasi quasi può fare a meno degli occhiali): gli piacciono soprattutto i libri di storia, quelli sulla Seconda guerra mondiale, perché gli riportano le storie dei racconti di suo padre, che quella dannata guerra l’aveva fatta davvero, prima in Grecia e poi, con un fazzoletto rosso al collo, sulle montagne, tra i partigiani, quando il suo nome di battaglia era “Bandiera”.
Prima lavorava in una delle tante fabbriche di fisarmoniche della sua città, che era così famosa per questo che anche Paolo Conte le aveva dedicato una canzone, in verità molto triste, di quelle che ti fanno venire addosso la malinconia: il titolo? “La fisarmonica di Stradella”, è una delle poche cose che ricordano quel tempo, perché adesso le fabbriche sono quasi tutte chiuse (ce n’è una sola che sopravvive, ma i proprietari non sono più gente del posto, ma vengono da lontano, dall’Oriente, come i re Magi).
Adesso Alfonso la fisarmonica la suona talvolta per conto suo, perché stando sempre in fabbrica s’è innamorato di quello strano strumento, con tanti tasti o bottoni, tutto colorato, e ha imparato pian piano a tirarne fuori le note. La suona tra le mura di casa, e quelle melodie, quando arrivano in strada, giù dalle finestre, portano sempre con sé un rimpianto, come una dolce nostalgia, come la neve quando viene giù e la sua coltre bianca copre ogni cosa, tutto il bene e tutto il male del mondo, insieme, la gioia e il dolore.
Ma c’è come un’ombra nella vita di Alfonso e quando ritorna a quella parentesi amara, ti accorgi che il racconto gli costa fatica: come accadeva allora, quando ne parla si fa più triste e cupo, con nuovi o vecchi pensieri per la testa, e la sua tristezza si legge anche negli occhi di Whisky, il suo cane pastore, che sembra andargli dietro anche in questo. Non è una questione di soldi, non ci sono né ci sono stati mai problemi economici in quella casa, la pensione è discreta e in banca c’è un piccolo gruzzolo, i risparmi di una vita e, vivendo decorosamente, senza fronzoli, non si sono mai fatti mancare nulla e hanno mandato la figlia all’Università. Marito e moglie sono sempre andati d’accordo, si sono voluti sempre bene e piace a tutti e due invecchiare insieme, tenendosi buona compagnia. E non è neppure qualcosa che abbia avuto a che fare con la salute di Cristina, la moglie, o quella della figlia. Il fatto è che una ventina d’anni fa Alfonso ha vissuto un’esperienza che tuttora, al solo pensiero, lo fa star male: lui, che non beveva (qualche volta, ma di rado, un bicchiere di bianco per qualche speciale ricorrenza) né fumava, e che a tavola s’era sempre comportato bene, senza eccessi né stravizi, aveva cominciato a non star bene e nessuno gli sapeva spiegare il perché.
Aveva spesso la febbre con dolori all’addome, specie a destra, dalla parte del fegato (“il dottore una volta parlava di calcoli, un’altra di colite”), magari per pochi giorni, ma poi, a distanza di poche settimane, i disturbi si rifacevano vivi, anche più intensi; la pancia sempre gonfia, con poca voglia di mangiare, a tratti gli occhi un po’ gialli e talvolta una sfumatura giallognola anche della cute; l’intestino “in disordine”, a volte anche diarrea; e poi quel continuo andare in bagno a fare “pipì”, di giorno e di notte, e quella gran sete che non aveva mai provato prima, e sempre con gli antibiotici di mezzo, che a sentir parlare ancora di penicillina quasi gli torna la nausea, ma il dottore diceva che “ci doveva essere per forza un’infezione in giro, da qualche parte…”.
Da quando è in pensione (gli sembra un secolo fa), inganna il tempo leggendo un po’ di tutto (dopo la cataratta, quasi quasi può fare a meno degli occhiali): gli piacciono soprattutto i libri di storia, quelli sulla Seconda guerra mondiale, perché gli riportano le storie dei racconti di suo padre, che quella dannata guerra l’aveva fatta davvero, prima in Grecia e poi, con un fazzoletto rosso al collo, sulle montagne, tra i partigiani, quando il suo nome di battaglia era “Bandiera”.
Prima lavorava in una delle tante fabbriche di fisarmoniche della sua città, che era così famosa per questo che anche Paolo Conte le aveva dedicato una canzone, in verità molto triste, di quelle che ti fanno venire addosso la malinconia: il titolo? “La fisarmonica di Stradella”, è una delle poche cose che ricordano quel tempo, perché adesso le fabbriche sono quasi tutte chiuse (ce n’è una sola che sopravvive, ma i proprietari non sono più gente del posto, ma vengono da lontano, dall’Oriente, come i re Magi).
Adesso Alfonso la fisarmonica la suona talvolta per conto suo, perché stando sempre in fabbrica s’è innamorato di quello strano strumento, con tanti tasti o bottoni, tutto colorato, e ha imparato pian piano a tirarne fuori le note. La suona tra le mura di casa, e quelle melodie, quando arrivano in strada, giù dalle finestre, portano sempre con sé un rimpianto, come una dolce nostalgia, come la neve quando viene giù e la sua coltre bianca copre ogni cosa, tutto il bene e tutto il male del mondo, insieme, la gioia e il dolore.
Ma c’è come un’ombra nella vita di Alfonso e quando ritorna a quella parentesi amara, ti accorgi che il racconto gli costa fatica: come accadeva allora, quando ne parla si fa più triste e cupo, con nuovi o vecchi pensieri per la testa, e la sua tristezza si legge anche negli occhi di Whisky, il suo cane pastore, che sembra andargli dietro anche in questo. Non è una questione di soldi, non ci sono né ci sono stati mai problemi economici in quella casa, la pensione è discreta e in banca c’è un piccolo gruzzolo, i risparmi di una vita e, vivendo decorosamente, senza fronzoli, non si sono mai fatti mancare nulla e hanno mandato la figlia all’Università. Marito e moglie sono sempre andati d’accordo, si sono voluti sempre bene e piace a tutti e due invecchiare insieme, tenendosi buona compagnia. E non è neppure qualcosa che abbia avuto a che fare con la salute di Cristina, la moglie, o quella della figlia. Il fatto è che una ventina d’anni fa Alfonso ha vissuto un’esperienza che tuttora, al solo pensiero, lo fa star male: lui, che non beveva (qualche volta, ma di rado, un bicchiere di bianco per qualche speciale ricorrenza) né fumava, e che a tavola s’era sempre comportato bene, senza eccessi né stravizi, aveva cominciato a non star bene e nessuno gli sapeva spiegare il perché.
Aveva spesso la febbre con dolori all’addome, specie a destra, dalla parte del fegato (“il dottore una volta parlava di calcoli, un’altra di colite”), magari per pochi giorni, ma poi, a distanza di poche settimane, i disturbi si rifacevano vivi, anche più intensi; la pancia sempre gonfia, con poca voglia di mangiare, a tratti gli occhi un po’ gialli e talvolta una sfumatura giallognola anche della cute; l’intestino “in disordine”, a volte anche diarrea; e poi quel continuo andare in bagno a fare “pipì”, di giorno e di notte, e quella gran sete che non aveva mai provato prima, e sempre con gli antibiotici di mezzo, che a sentir parlare ancora di penicillina quasi gli torna la nausea, ma il dottore diceva che “ci doveva essere per forza un’infezione in giro, da qualche parte…”.
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